Descrizione |
Ogni Danza, si trasforma in una lotta armata secondo un principio fondamentale che associa ad ogni rito propiziatorio della fertilità una prova agonistica, di abilità o di forza fisica e che è riconducibile all’eterna lotta tra il bene e il male, tra la vita e la morte, tra estate ed inverno. Nemmeno l’avvento del Cristianesimo riuscì con facilità a primeggiare sulle vecchie usanze pagane, dure a morire specialmente nel mondo rurale, dovendo tollerare parecchie manifestazioni rituali, tra cui appunto la danza, che solo dopo molte condanne riuscì a “cacciare dal tempio”; ma in parecchie regioni è ancora palese la sopravvivenza di arcaiche danze agrarie che, opportunamente adattate si sono inserite in feste popolari religiosi locali.
Il Tataratà “una danza cristiana a testimonianza proprio di quel mirabile equilibrio che aveva reso possibile la convivenza tra Cristiani e
Musulmani al tempo dell’occupazione araba” Dalla danza dei Mori e dei Cristiani (Moresca) quindi in riferimento alla presenza araba/musulmana in sicilia; la sua vera origine è di certo affiancata al ritrovamento, prima ancora della fondazione del paese di Casteltermini, di una Croce lignea festeggiata fino ai giorni nostri. La Croce Paleocristiana più antica del mondo, in quanto il legno di quercia, risultata essere, dopo un accurato esame del Carbonio 14, del 12 d.C.
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Nota |
Testo a cura di Andrea Quagliana per Imago Carta
Katia Scarlata è un’artista che seduce,
il suo immaginario è un caleidoscopio di
forme, contorsioni, esuberanze. Il segno è
sensuale, a tratti frastagliato,
non concede spazio alla continuità percettiva, anzi, tradisce
la distorsione che deve porsi
come spazialità primordiale. Qui
la materia è davvero “mater”, si
trascina appresso l’ambivalenza
che la vuole sorgente ma pure
voragine (Chaos), potenziale invisibile, dunque ancora ricolmo,
traboccante. Questa è appunto
un’arte che trabocca, non si sa
da quale luogo, non si sa verso
quale meta. Comincia sempre
dal mezzo, scivola via e produce solchi, perché graffia, traccia
nuove linee di senso (come in
Michaux: “Una linea germina.
Mille altre intorno a lei, cariche
di germogli: tappeto erboso.
Graminacee sulla duna”.) E que-
sto richiamo alla materia-mater
connota esplicitamente il pen-
siero della Scarlata, per così dire
“sovra-esposto” nei suoi testi,
nelle sue didascalie (che sono
cantilene ipnotiche, magmatiche, sia nella forma che nel
contenuto): qui la cifra surrealista deborda in espressionismo,
pulsa, scola, urla: la donna è
baccante e madre, santa e meretrice, ma sempre incandescente, gravida di vita e di morte,
la figura femminile declina una
mistica combinata di perdizione/
benedizione. Il registro erotico si
contorce in tratto conturbante,
l’inchiostro è elettrico, il colore
vibra, il tono inventa una timbri-
ca: è vivido, ubriaca lo sguardo.
Un’arte, infine, che opera come
matrice, ossia ritrova la sua caratteristica ambizione propulsiva: esplode al di là di sé, vuole
essere totale o primigenia, ma
anzitutto fuori-canone (al fine
di creare i propri presupposti, le
proprie categorie), a tratti persi-
no forsennata, perché finalmente libera.
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